La libertà di scelta comincia dalla nascita
Dati davvero allarmanti: dal 37,3% della Mangiagalli, la più grande clinica ostetrica di Milano, al 26,5 % dell’Ospedale San Paolo, il parto cesareo è in crescita ovunque.
Sono numeri in linea con la media del resto d’Italia dove però, secondo il Rapporto Osservasalute 2005 dell’Università Cattolica, già vengono toccati i valori più elevati al mondo: l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, indica come limite massimo la percentuale del 10-15%.
Vale a dire: per l’Oms è questa la massima percentuale fisiologica di parti che necessitano di un cesareo. E il restante 25% dei parti cesarei italiani? Siamo forse un popolo strutturalmente incapace di partorire secondo natura? Le donne italiane sono fisicamente diverse da quelle di altri paesi?
Le motivazioni per queste cifre si possono cercare ovunque: nell’età sempre più avanzata in cui le donne scelgono la gravidanza e nel conseguente timore di complicazioni, nella volontà femminile di sottrarsi alla sofferenza, nella volontà dei ginecologi di evitare di correre rischi con ripercussioni medico-legali, e forse (in Lombardia la Regione smentisce) anche nei rimborsi più elevati che il Servizio Sanitario pratica al parto cesareo.
Quali che siano le cause, la sensazione è che questi dati, insieme alle pratiche di anestesia (la famosa “epidurale”) e alle varie pratiche di medicalizzazione della nascita siano il sintomo di una cultura che sottrae alle donne il parto come esperienza, come momento fondamentale di scoperta del proprio potere e delle proprie capacità, come evento naturale dentro cui scoprire un percorso di crescita e di evoluzione.
Un altro elemento di quella stessa logica dove ogni aspetto dell’esistenza deve venire gestito dalla farmacologia: a un disagio affettivo si risponde con uno psicofarmaco, a un dolore con un analgesico, a un parto con un operazione, rinviando sempre il fatidico momento dell’incontro con il dolore, e con la crescita che questo comporta.
Di questo, e della politica che spesso queste scelte influenza, hanno recentemente discusso a Milano le ostetriche del Collegio Ostetrico di Milano, con la partecipazione delle Ostetriche della associazione “La Luna Nuova” e molte donne convenute a un dibattito condotto dalla giornalista Assunta Sarlo, che ha fatto seguito allo spettacolo “Nati in casa”.
Lo spettacolo, di e con Giuliana Musso, racconta con ironia e leggerezza la storia di una donna che fu levatrice in un paese di provincia di un nord est ancora rurale. Un tempo in cui protagoniste del parto erano le donne, e non gli ospedali e i loro ginecologi; un tempo recente che sembra invece lontanissimo, quando fare figli era naturale, e l’ostetrica, la “levatrice”, era la sola figura necessaria durante quell’evento così particolare della vita di una donna.
Storia tutta al femminile, dunque, memorie di fatti eccezionali solo per chi li vive. Eventi straordinari di vita quotidiana. E attraverso la memoria, un’analisi della maternità di oggigiorno: modi, tempi, luoghi, figure professionali e protagonisti reali.
Uno spettacolo particolare, dentro cui abbiamo trovato una traccia da seguire per re-imparare a vivere il parto come un’esperienza dell’umano, per re-imparare innanzi tutto a sentire, ad ascoltare ed avere fiducia nel nostro corpo e nei messaggi che ci lancia; e un dibattito importante, in cui sono emersi elementi di cui la politica deve tener conto: perché questa progressiva alienazione delle donne dal proprio corpo e dal parto lascia poi costi pesanti nella depressione post partum, nel rapporto con i figli, nel disagio che sempre più spesso investe genitori e bambini.
Chiara Ferrè