Quanto è grave una gammapatia monoclonale?
È di questi ultimissimi giorni una valutazione epidemiologica di che cosa avviene davvero quando si scopre che qualcuno ha una Gammapatia Monoclonale.
Il riscontro di una gammapatia monoclonale è oggi decisamente frequente e poiché il suo significato evolutivo spazia dal “nessun pericolo” alla “massima allerta” è necessario sapere come questo dato possa essere capito nella storia clinica di ogni persona. In parole povere è necessario sapere quanto possa essere rischioso avere una condizione di questo genere.
Un bel lavoro di ricerca, pubblicato da pochissimo sul New England Journal of Medicine (Kyle RA et al, N Engl J Med 2006 Mar 30;354(13):1362-9) ha studiato più di 20.000 persone maggiori di 50 anni.
La prevalenza di questa condizione si è rivelata molto alta, del 3,2%. Ma la differenza tra le età è ragguardevole. Le persone di età compresa tra i 50 e i 60 hanno evidenziato la presenza di una gammapatia nell’1,7% del gruppo, ma tra le persone di 80 anni e oltre l’aumento delle gammaglobuline era presente nel 6,6%.
La presenza di gammapatia cresce quindi con l’età, e quando la quantità di proteine monoclonali rimane al di sotto di 1g/dL la possibile progressione verso una malattia midollare importante (linfoma, mieloma multiplo o altro) nel volgere di 10 anni è solo del 6% circa.
Rifacendo i conti, è frequentissimo trovare una gammapatia in soggetti anziani, e pur ribadendo la necessaria cautela nel seguire ogni singola situazione, nel 94% dei casi la presenza di questa condizione è assolutamente priva di rischi.
Utile ricordare che l’uso di farmaci in genere e la presenza di forme immunologiche (ad esempio una tiroidite) rendono più facile la presenza di una reazione del sistema immunologico che porta alla presenza di una gammapatia monoclonale.