La sindrome del patriarca: tanti figli, lunga vita
Ma i figli, con tutte le preoccupazioni e le ansie connesse, e il maggior carico di responsabilità che comportano, non sono forse stressanti per i genitori? Non li affaticano, consumando le loro forze e facendoli invecchiare prima?
Parrebbe di no, almeno per quanto concerne i padri, a giudicare dai risultati davvero curiosi di uno studio condotto da due coniugi esperti di longevità, Leonid Gavrilov e Natalia Gavrilova, e presentato al Congresso annuale della Gerontological Society of America, in corso in questi giorni a San Francisco.
I due Gavrilovi, scienziati russi emigrati negli Stati Uniti da circa un decennio e perpetuamente a caccia del segreto della longevità, hanno avuto l’idea di condurre un’indagine di tipo statistico, sfruttando l’enorme massa di dati messa oggi a disposizione di tutti dalla Rete virtuale.
I dati, in questo caso, sono quelli raccolti dalle cartoline-precetto dei coscritti americani della Grande Guerra (quella del 1914-18, che noi italiani chiamiamo del 1915-18 e gli americani, più fortunati di tutti, del 1917-18) e recentemente riversati online. Nei due anni di conflitto, tutti i maschi adulti statunitensi di età inferiore ai 46 anni furono obbligati a compilare questi documenti che, nel loro insieme, costituiscono oggi un gigantesco archivio anagrafico: vi compaiono l’anno e il luogo di nascita, il luogo di residenza, la professione, lo stato civile, il numero dei figli, e così via.
Comparando questi dati con quelli, provenienti da altre fonti, relativi all’anno di morte di tutti i soggetti considerati, i due ricercatori hanno potuto selezionare l’élite che a loro interessava: la bellezza di 240 uomini, tutti nati nell’anno di grazia 1887 (quindi all’incirca trentenni all’epoca dello scrutinio) e morti almeno centenari, cioè dal 1987 in poi.
Bisogna riconoscere che la vita professionale, per il Gavrilov e la Gavrilova, non è delle più semplici. Studiare un fenomeno come quello dell’estrema longevità presenta infatti un limite classico: la ridotta numerosità dei campioni. I centenari sono pochi e mettere insieme una popolazione di studio che possa fornire risposte significative alle domande dei ricercatori è un’impresa complicata. Si può perciò immaginare quale colpo di fortuna abbia rappresentato per loro questa pesca miracolosa: 240 centenari nati nello stesso anno e nello stesso paese, formando così un campione straordinariamente omogeneo.
L’analisi di questa ingente massa di dati ha permesso ai due Gavrilovi di isolare alcuni caratteri che, in questa popolazione di centenari, ricorrono con particolare frequenza. Questo era appunto ciò di cui gli studiosi erano assetati: la possibilità di stabilire correlazioni significative tra dati biografici e longevità.
Ebbene, la correlazione più significativa di tutte è con un dato assolutamente inatteso: il numero dei figli che questi 240 maschi americani destinati a vivere a lungo avevano già generato a 30 anni. Un numero tendenzialmente molto elevato.
Per avere un’idea della significatività di questa correlazione bastano due cifre: l’analisi del campione ha dimostrato che chi aveva da uno a tre figli all’età di 30 anni aveva il 61% di probabilità in più, rispetto ai suoi coetanei ancora infecondi, di diventare centenario. Ma il dato più impressionante è che questa probabilità risultava addirittura triplicata per coloro che avevano già generato almeno quattro figli.
Di fronte a sorprese statistiche del genere, ci si arrovella a cercare spiegazioni. E’ la parte più arbitraria, ma di gran lunga più divertente, del lavoro.
I due Gavrilovi, da quegli scienziati che sono, hanno proposto una spiegazione razionale: per avere già tanti figli a 30 anni bisogna essersi sposati presto, per trovare moglie presto bisogna essere belli, forti, sani e attraenti. Così i conti tornano: più forti e sani, più longevi.
Ma sono conti discutibili. Con un po’ di audacia si potrebbe capovolgere il ragionamento: chi è bello, sano e attraente non tende affatto a sposarsi presto, ma piuttosto a spassarsela fino alla trentina e oltre con il maggior numero possibile di fanciulle belle, sane e attraenti.
Un’interpretazione più interessante ci è suggerita da una seconda correlazione che emerge dallo studio dei due ricercatori russo-americani: quella tra longevità e vita in campagna. Sembra infatti che, tra questi 240 centenari, il mestiere di agricoltore mostri una prevalenza superiore alla media.
Si tratta di una correlazione meno significativa ma che, associandosi alla prima, sembra suggerire una lettura differente del dato riferito al numero dei figli, inducendoci a immaginare quella che potremmo definire la “sindrome del patriarca”.
Quattro figli a 30 anni (e magari sette-otto a 40) vuol dire un numero consistente di nipoti tra i 50 e i 60 e un numero ancor più notevole di pronipoti tra i 75 e gli 85, con la conseguente curiosità di sapere quanti trisnipoti si possono conoscere a 100 anni. Anche ipotizzando che i figli restino soltanto quattro e che la prolificità familiare si dimezzi nelle successive generazioni, questa modesta moltiplicazione basterebbe ad un uomo per essere otto volte nonno, sedici volte bisnonno e, se ci arriva, trentadue volte trisnonno.
Per campare fino a 100 anni non basta la buona salute: bisogna anche che ne valga la pena. E una grande casa di campagna dove, ogni domenica, si riuniscono alcune dozzine di discendenti sembra proprio essere un ottimo pretesto per tirarla in lungo.
Un pretesto, ahinoi, oggi difficile da costruire.