Aiuto: mi guardo e non mi vedo
Il malessere e il benessere interiore “traspirano” all’esterno sulla nostra pelle, indipendentemente dalla nostra volontà. Vi sono però casi in cui un piccolo problema viene vissuto come una catastrofe che condiziona pesantemente la vita, il lavoro, le relazioni sociali.
In un’epoca di perfezionismo estetico martellato dai mass-media senza pietà, gli adolescenti (prime vittime) esigono completa adesione ai canoni estetici loro proposti e continuamente rappresentati; e per ottenerlo sono disposti a forzare il proprio corpo e la propria mente, come le sorellastre di Cenerentola che tentavano di entrare nella scarpina, pena l’impossibilità di trovare marito.
La tensione di tale conflitto sale a tal punto in certe persone, che anche un piccolo foruncolo sulla punta del naso accende le luci rosse dell’allarme atomico, e scatena una crisi di panico, a volte fino a quadri ossessivi, descritti come “dismorfofobia” (BDS o Body Dismorphic Syndrome) e classificata tra i disturbi somatomorfi nel DSM IV.
“Oggi sono mostruosa, non posso uscire così” si dice la ragazza allo specchio mentre cerca di coprire con cerotti, fondotinta, creme colorate quella piccola protuberanza che l’ha fatta urlare davanti allo specchio.
Poiché, la realtà non esiste in sè, ma esiste solo ciò che noi percepiamo della realtà, queste persone hanno una visione “personale”, distorta, del foruncolo e vedono veramente un cratere vulcanico sul loro naso. A nulla servono le rassicurazioni di amici e parenti, accusati di “addolcire la pillola”: il dramma tale è e tale rimane. L’esempio da me fatto è banale, ma spesso i casi sono apparentemente ridicoli, per noi che “la vediamo così”.
Le cose vanno diversamente quanto il disturbo diventa ossessivo-compulsivo, delirante, come nel caso delle persone anoressiche o dei paziente che collezionano interventi su interventi di chirurgia estetica all’eterna infinita ricerca dell’immagine idealizzata che hanno di sé, incuranti del rifiuto di chirurghi onesti che cercano in ogni modo di dissuaderli da sogni utopistici e irraggiungibili.
In questi casi “irriducibili” la terapia strategica consiglia di accentuare la farneticante esposizione del paziente, rincarando la dose. Come afferma Watzlawick, ricercatore della scuola di Palo Alto, rifacendosi a una storiella zen, bisogna “Far salire il nemico in solaio e poi togliere la scala”; in pratica accentuare la psicosi al punto estremo di rottura, come quando nella crisi di panico due schiaffi stroncano l’attacco meglio di ogni inutile rassicurazione.
Nel caso dell’anoressia, ad esempio, i genitori venivano invitati a non apparecchiare per la paziente, visto e considerato che non si nutriva. Sconcertata da tale atteggiamento, la stessa chiedeva dapprima qualche pietanza “leggera”, poi addirittura pasti completi.
All’opposto, in caso di bulimia mettere in tavola ogni giorno quantità industriali di dolciumi e alimenti col bigliettino “per te”, ferisce così profondamente l’orgoglio della paziente, che pur di non obbedire, smette così di abbuffarsi.
Questa cosiddetta “prescrizione paradossale”, consiste nel prescrivere il sintomo portandolo all’esasperazione: se la paziente seguirà le prescrizioni, sarà presto costretta a desistere “per abbandono”, se non si atterrà, farà ciò che ci aspettiamo, cioè smettere il fenomeno compulsivo. In entrambi i casi avrà desistito.
Un caso eclatante fu quello di un paziente ipocondriaco che si sottopose a una serie illimitata di esami e visite mediche nella convinzione di avere un serpente nell’addome. Inutile dire che gli esiti furono negativi, ma la persona accentuava ogni giorno la propria ansietà, finché gli fu fatta una prescrizione paradossale: rimanere per tutte le notti steso su un fianco, con la bocca aperta, ed aspettare l’uscita del serpente. Dopo alcuni giorni si ripresentò soddisfatto: esasperato dall’esercizio, non era riuscito a rimanere sveglio e si era addormentato, ma era certo che il serpente fosse uscito dalla bocca e scappato dalla finestra che era rimasta aperta.
Ora era tranquillo.