Verso un nuovo paradigma: la comunicazione
Tra i protagonisti del convegno “L’informazione, l’universo, la vita” (Milano, 2 dicembre 2011, Università Iulm) c’è Layla Pavone, Managing Director di Isobar Communications e Presidente Onorario di IAB Italia. Con lei abbiamo cercato di capire come il mondo della comunicazione si misuri con ciò di cui il convegno stesso parlerà, e cioè il cambio di paradigma che ogni ambito della conoscenza – umanistica o scientifica – è chiamato a realizzare.
“Nel mondo della comunicazione non sta cambiando un paradigma, ma due – spiega Pavone –. Il primo è in corso da quando è nato il web 2.0, dal quale nasce quel che io amo chiamare “il sesto potere”, cioè il potere del consumatore. Gli utenti generano contenuti – infatti di parla di “user generated content” – e diventano protagonisti della rete, riuscendo ad anticipare i mezzi di comunicazione in tempo reale, abbattendo la mediazione che, appunto, i media effettuavano tra messaggio e destinatario. L’altro cambio di paradigma riguarda la possibilità di misurare e tracciare i bisogni dei consumatori, cosa che prima di internet era inimmaginabile. La tecnologia permette di individuare il tipo di persona con cui la comunicazione si confronta, quanto tempo essa spende in rete, cosa cerca”.
Su quest’ultimo punto, non c’è il rischio di deriva da “Grande Fratello” di orwelliana memoria? “
Credo di no. Nessuno, naturalmente, discute il sacrosanto rispetto della privacy di ognuno di noi. Ma vorrei aggiungere che si tratta di un falso problema, anzitutto perché la sua tutela non nasce con internet: si pensi alle informazioni sulle persone storicamente conservate dalla banche. Inoltre, ciò che interessa non è il profilo del singolo ma il cosiddetto cluster, cioè un gruppo numericamente rilevante di individui, perché la comunicazione studia le tendenze di molti. E poi, non si dimentichi che siamo noi i veri artefici della nostra libertà, poiché siamo noi a decidere, per esempio, come settare il nostro profilo sui social network, e quindi a scegliere cosa rendere pubblico e cosa no”.
A proposito di social network, qual è la loro collocazione all’interno di questo cambio di paradigma?
“Una collocazione strategica, e bastino due numeri per capirlo: 26 milioni sono gli internauti in Italia, 21 milioni quelli con almeno un profilo social. Per la comunicazione, sono una risorsa fondamentale nello sviluppo del cosiddetto behavioral targeting, elemento fondamentale per esempio nella pubblicità on line. I social danno informazioni precise sui gusti e sui bisogno del singolo, e questa informazione contribuisce a rendere più nitidi i contorni del target cui si rivolge chi comunica. Ma, tengo a ripeterlo, non per agire come un Grande Fratello, bensì per precisare le tendenze dei vari gruppi sociali e, di conseguenza, il messaggio”.
Messaggio che, si diceva, è sempre meno mediato e sempre più costruito con l’apporto dello stesso utente. Ma questa progressiva erosione di mediazione non è un problema per chi fa informazione, cioè per chi avrebbe il compito di selezionare le fonti e di dar loro un peso? Non c’è il rischio di trovarsi di fronte a una massa indistinta di messaggi, tutti percepiti allo stesso modo?
“Mi piace pensare che questo rischio sia compensato da un atteggiamento laico verso le fonti, diciamo così, non tradizionali. Atteggiamento che, in realtà, va tenuto anche nei riguardi delle fonti tradizionali. La regola per cui nulla va preso per oro colato è valida per tutta l’informazione. Il web 2.0 è una voce in più, aumenta gli spunti di ragionamento, dice qualcosa che altrimenti non si saprebbe, e quindi è benvenuto. Sta al lettore analizzare e capire la qualità del contenuto. Content is the king, il contenuto è il re: è questa la regola d’oro per chi fa comunicazione”.
Il cambio di paradigma, insomma, è più che mai salutare.
“Senza dubbio. Il vero pericolo è la resistenza al cambiamento”.
Qual è il mezzo, a suo giudizio, che più asseconda questo cambio?
“Il video. Anche qui, qualche cifra: 26 milioni di internauti, 21 milioni guardano video on line. La connected tv sarà il territorio in cui davvero si potrà capire il vero volto del nuovo paradigma”.