Etichette alimentari: cosa dicono?
Nielsen ha pubblicato un report sulla tendenza mondiale a mangiare in maniera sana: Healthy Eating Trends Around The World. La ricerca si è tra l’altro focalizzata sulla comprensione delle etichette e degli annunci pubblicitari espressi in confezione, e ha così evidenziato una sfiducia importante rispetto agli annunci salutistici stessi, presenti sulle confezioni dei prodotti alimentari. I due terzi delle persone dei 56 paesi intervistati ritengono che tali annunci siano inaffidabili e, di 10 differenti esempi di informazioni riportate sulle confezioni, solo tre hanno ricevuto una completa credibilità su una percentuale maggiore al 20 per cento dei soggetti.
Secondo Nielsen tale andamento statistico indica la “necessità di meglio educare i consumatori”. Effettivamente le legislazioni stanno cambiando; in particolare, quella italiana prevede in un paio di anni, che tutte le informazioni pubblicitarie, salutistiche o meno, espresse sull’etichetta e sulla confezione debbano essere verificate e sostenute scientificamente. Si tratta di un aiuto in più nella tutela e non solo “nell’educazione” del consumatore stesso. In Italia si è già un passo avanti: se nelle altre nazioni intervistate la quota di persone che dichiaravano di comprendere già quasi completamente le informazioni in etichetta si aggira attorno al 45% secondo statistica, in Italia tale percentuale è del 59%, tra i più alti del mondo insieme alla Romania.
La comprensione è un primo passo: dopo di essa viene la necessità di scegliere se ciò che viene compreso sia vero o falso. Il che è necessario sempre: infatti se è vero che a breve le notizie riportate dovranno essere scientificamente riprovate, è anche vero che resta utile inserire l’informazione nell’ambito di interesse. Emblematico è il caso dello zucchero: qualche anno fa sul lato scatola di una celebre marca si trovava raccontato come migliorasse l’umore. Il dato è giustissimo, solo che vale semplicemente nel breve periodo. E chi spiega cosa succede nel lungo termine, dal momento che è stato sottolineato che l’azione per cui tale meccanismo funziona è più simile a quello di una droga, poiché crea dipendenza? Lo zucchero non è malvagio in maniera assoluta, ma è sicuramente un prodotto che non va abusato, tanto meno se sono presenti problematiche di tipo depressivo.
La trasparenza di chi vende e di chi produce è essenziale, ed è l’unico meccanismo attraverso il quale l’utente può realmente essere in grado di capire se il prodotto vada o meno bene per lui, rispetto a quelli che sono i suoi desideri, le sue necessità, o anche a ciò che gli è stato prescritto. Se è vero che il 59% degli italiani comprende “quasi completamente” quanto riportato in etichetta è anche vero che resta un 40% per i quali questa cosa non avviene, e che spesso la differenza tra il “capire” e il “non capire” resta comunque proprio nel “quasi”. Basta leggere un’etichetta qualsiasi per rendersi conto che spessissimo gli ingredienti hanno nomi strani o dal significato criptico.
Per fortuna sempre più sul mercato esistono strumenti che aiutano tale comprensione. Tali strumenti, aprendo le porte dell’interpretazione, rendono in grado di capire non solo “quasi”, ma “completamente” il significato di un’utile informazione, quale quella contenuta ad esempio nella lista degli ingredienti. Essi rendono possibile comprendere quali veramente siano gli sperati pro e gli eventuali contro dell’utilizzo di un prodotto, e che permettono all’utente di inserirlo in maniera funzionale e consapevole all’interno delle proprie scelte alimentari e/o di vita. E’ la trasparenza che alimenta fiducia. L’utente non è stupido: sa benissimo che non tutto ciò che è detto “naturale” è per forza “buono” per la salute o genericamente, e sa benissimo che fino ad oggi l’etichetta (comunicazione tra ditta e compratore) è stata utilizzata in modo solo parzialmente rispettoso delle reali esigenze dell’utente.
Per fortuna le cose col tempo sono cambiate e oggi le ditte cominciano (anche grazie al cambiamento delle norme giuridiche) ad essere più giudiziose nel comunicare con chi potrebbe comprare o non comprare. Lasciare che la scelta dell’utente sia consapevole e che la trasparenza sia lo strumento di dialogo, non può che far bene al commercio (eventualmente costretto a modificare e a rendere migliori i propri prodotti) e all’utente, messo finalmente in grado di scegliere per se stesso in modo positivo. Programmi che rendano possibile la completa comprensione dell’etichetta sono in sviluppo. Fin tanto che strumenti di questo tipo non sono ancora alla aperta portata del pubblico, si incoraggia l’utente a continuare ad informarsi, a cercare fonti ed opinioni differenti per trovare le modalità migliori per il raggiungimento dei propri obiettivi.
Come ha detto qualcuno, la verità rende liberi.