Scoprire i danni precoci da zuccheri. Un aiuto dal mondo femminile
Gli effetti degli zuccheri sull’organismo possono essere tanto piacevoli quanto drammatici. Gli esseri umani dispongono di un ormone che stimola la ricerca di zuccheri che si chiama NPY, che ha salvato l’esistenza della specie in era preistorica quando gli zuccheri erano rari e quasi introvabili. Quando li si trovava se ne faceva incetta, per acquisire il massimo possibile delle calorie.
Oggi la presenza negli alimenti degli zuccheri e delle sostanze assimilabili per metabolismo (a partire dal fruttosio e dalla frutta in eccesso per arrivare ai dolcificanti, all’alcol e ai polioli) è costante e ripetitiva e si deve fare “fatica” per cercare di evitarli.
Per anni ad esempio, molti prodotti industriali apparentemente “sani” (come i cereali per la prima colazione) sono stati addizionati di zuccheri solo per aumentarne la palatabilità e favorirne l’acquisto.
Dall’inizio del 2020 ad oggi, alla relazione già ben nota tra assunzione di zuccheri (anche quelli nascosti) e diabete e sovrappeso si sono aggiunte conoscenze precise sulla relazione tra zuccheri e Covid 19, sia per quanto riguarda la contagiosità e la mortalità, sia per quanto riguarda gli effetti sulle complicanze e sul Long Covid.
Un’altra acquisizione scientifica recente è quella della relazione tra zuccheri e neurodegenerazione, una parola difficile che riguarda la malattia di Alzheimer e il Parkinson, oltre al declino cognitivo e alla varie forme di demenza.
Secondo lo European Heart Journal, intercettare il diabete prima che la malattia si sviluppi, cioè individuarne per tempo la predisposizione genetica e le sue possibili cause, tra i 50 e i 60 anni, permette di aggiungere alla propria vita media dagli 8 ai 13 anni di buona salute. L’associazione Diabetes UK parla di circa 10 anni e altre pubblicazioni caratterizzano indicazioni dello stesso ordine di grandezza.
Il fatto che emoglobina glicata e glicemia a digiuno, anche se utili per la gestione del diabete già manifesto, non consentano l’identificazione della progressione verso il diabete, è stato confermato dalle più importanti riviste mediche diabetologiche. Attraverso gli studi sulla infiammazione da zuccheri e da alimenti e le analisi di glicazione, il test PerMè consente di intercettare il prediabete con strumenti migliorativi più efficienti di qualsiasi altro esame attualmente a disposizione.
Le conferme scientifiche sono numerose, e alcune di queste arrivano dal mondo femminile e nello specifico dagli studi sulle alterazioni degli zuccheri in gravidanza.
Nel febbraio 2020, Nutrients (rivista scientifica di nutrizione open-access online tra le più importanti al mondo) ha pubblicato i risultati di un importante lavoro di ricerca effettuato dal gruppo GEK, in collaborazione con Università di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda e Inflammation Society (UK), dal titolo Methylglyoxal, Glycated Albumin, PAF, and TNF-α: Possible Inflammatory and Metabolic Biomarkers for Management of Gestational Diabetes.
Lo studio ha dato valore all’ipotesi di impiegare i test su metilgliossale e albumina glicata per la diagnosi anticipata del diabete gestazionale, una condizione che può frequentemente manifestarsi durante la gravidanza e che deve a quel punto essere trattata in modo preciso per salvaguardare mamma e bambino, ma che rappresenta anche una situazione clinica molto simile alla condizione di prediabete, la stessa che si può manifestare nella popolazione generale.
La ricerca è stata svolta in collaborazione con tre istituzioni universitarie milanesi di forte rilievo internazionale:
- Obstetrical Unit, Woman-Child-Newborn Department della Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico (Proff. Rossi e Ferrazzi)
- Department of Pharmacological and Biomolecular Sciences, Università degli Studi di Milano (Proff. Corsetto e Rizzo)
- Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Department of Clinical Sciences and Community Health, Università degli Studi di Milano (Prof. Ferrazzi)
cui si sono affiancate la Inflammation Society (UK) e i nostri ricercatori di GEK Lab.
Le donne cui viene diagnosticato il diabete gestazionale, alla 24esima o 25esima settimana di gravidanza, pur avendo dei valori di glicemia a digiuno e di emoglobina glicata del tutto normali, affrontano un test da carico di glucosio (ingeriscono 75 grammi di zucchero) al quale rispondono come se fossero diabetiche, a indicare che il sovraccarico metabolico, immunologico e infiammatorio dovuto alla gravidanza sta inducendo delle risposte tipiche del diabete, e da lì in avanti la donna dovrà essere trattata esattamente come una diabetica fino alla fine della gravidanza.
Quando si parla di diabete gestazionale, si identifica una condizione che di per sé cessa con la fine della gravidanza, ma le donne che hanno sofferto di questa condizione, se non cambiano il loro stile di vita, sono altamente predisposte a sviluppare, nel corso dei successivi 10-25 anni, un classico diabete di tipo 2. È come se il diabete gestazionale rivelasse lo stato di fragilità esistente nei confronti degli zuccheri. Una sorta di segnale d’allarme che resta purtroppo, in molti casi, del tutto inascoltato.
Si tratta di una condizione che riguarda una donna gravida su sette, e che assomiglia in tutto e per tutto alla condizione prediabetica. Per avere un’idea della numerosità di questa condizione prediabetica basti dire che secondo il CDC di Atlanta, nel 2022 il 54% della popolazione negli USA convive con il diabete o con lo stato pre-diabetico, senza considerare gli obesi che hanno spesso lo stesso tipo di predisposizioe.
Due biomarcatori, misurabili in modo semplice, aiutano a rilevare una alterata sensibilità agli zuccheri e a definire delle soluzioni personalizzate per prevenire lo sviluppo del diabete.
Nel lavoro pubblicato da Nutrients, a un gruppo di donne cui era stato diagnosticato il diabete gestazionale sono stati misurati alcuni parametri ematologici importanti e anche i due marcatori della glicazione che da tempo stiamo valutando e studiando: il metilgliossale e l’albumina glicata. I valori di metilgliossale si sono dimostrati decisamente alterati fin dal momento della diagnosi, suggerendo una loro alterazione già preliminare al momento del test da carico di glucosio. L’albumina glicata, invece, ha evidenziato delle significative differenze, in accordo con la sua funzione, solo dopo qualche altra settimana dalla diagnosi.
Il metilgliossale è quindi un indicatore della alterata sensibilità agli zuccheri (glucosio e saccarosio ma anche fruttosio, polioli e alcol, che ha vie metaboliche simili) e evidenzia delle assunzioni recenti. Inoltre è documentatamente un segnale di variabilità glicemica, della esistenza cioè di quei picchi di glicemia che determinano i dei danni dovuti agli zuccheri.
È una sostanza ossidante e infiammatoria che determina resistenza insulinica andando a creare un circolo vizioso per la induzione del diabete stesso. Nel lavoro clinico è stata evidenziata una correlazione tra valori di metilgliossale e peso del bambino (una delle complicanze del diabete gestazionale è proprio la macrosomia fetale) e con i valori di trigliceridi, correlabili agli eccessi alimentari zuccherini.
In un caso e nell’altro, i “vecchi” indicatori rappresentati da glicemia a digiuno ed emoglobina glicata non si sono mai modificati in modo significativo, a indicare che i due nuovi biomarcatori sono probabilmente in grado di “leggere” dei cambiamenti metabolici diversi da quelli classici, consentendo di prevedere in anticipo lo sviluppo della malattia diabetica.
Ci sarà ancora da lavorare per arrivare ad un livello di precisione avanzato, ma già oggi le prospettive rispetto all’uso di questi nuovi marcatori sono molto interessanti e consentono di avere a disposizione strumenti evoluti per intercettare la condizione prediabetica prima che i danni da zuccheri diventino evidenti.
Il gruppo GEK sta raccogliendo continui progressi nella sua ricerca, perfezionando lo studio della condizione infiammatoria (misurabile e documentata) correlata agli zuccheri e agli alimenti.
I due nuovi marcatori sono parte integrante del test PerMè, che già a partire dal suo nome invita a una maggiore attenzione a se stessi e a promuovere azioni volte al miglioramento della propria salute, integrando il valore della Personalized Medicine e valutando proprio le risposte soggettive di ciascuno a zuccheri e alimenti, attraverso tre tipi di indicatori:
- la misurazione di citochine infiammatorie
- i prodotti di glicazione
- la predisposizione genetica
Questo tipo di approccio consente di intervenire in termini preventivi e nutrizionali sull’epidemia di diabete che sta crescendo nel mondo a ritmi vertiginosi. Si calcola infatti che Stati Uniti e Cina abbiano tra il 30 e il 40% di soggetti prediabetici inconsapevoli e che l’Italia, con il suo 16-18%, stia inseguendo queste posizioni in modo pericolosamente rapido.
Come e dove misurare questi biomarcatori
L’infiammazione da alimenti e da zuccheri può oggi essere misurata per arrivare ad una impostazione terapeutica personalizzata. Test PerMè (che studia insieme l’infiammazione da alimenti e da zuccheri), Recaller 2.0 (BAFF, PAF e Profilo alimentare personale) e GlycoTest (Metilgliossale, Albumina glicata e predisposizione genetica a obesità e diabete) fanno ormai parte di una possibilità diagnostica utilizzabile da chiunque abbia cura della propria salute.
Si tratta di esami che in diversi laboratori e università del mondo sono stati usati a scopo di ricerca e validati sul piano scientifico e che il nostro gruppo di lavoro è riuscito a integrare, per una valutazione anche sul sano, e rendere fruibili in modo più semplice e che consentono, soprattutto, di personalizzare le esigenze nutrizionali di ogni individuo nel rispetto delle sue caratteristiche genetiche e comportamentali.
Informazioni più approfondite su questi test si possono trovare sul sito GEK Lab che segnala in modo aggiornato le farmacie italiane e i centri che li effettuano; tale elenco è in costante espansione grazie al progressivo inserimento delle farmacie che effettuano i corsi di aggiornamento necessari per il supporto alla applicazione del GlycoTest e del test PerMè e che possono fornire ai loro clienti tutte le informazioni necessarie per approfondire la conoscenza di questi temi e per mettere in atto almeno le prime procedure di controllo per mantenersi in salute e continuare a gioire individualmente e socialmente anche delle sostanze zuccherine, in modo appropriato e rispettoso del proprio personale equilibrio.