Acidi urici elevati? Non più una caratteristica dei soli re
L’acido urico è una sostanza prodotta dal nostro organismo la cui concentrazione nel sangue può aumentare per diversi fattori. Sebbene ci possa essere anche una predisposizione genetica, l’alimentazione e lo stile di vita possono essere responsabili di una sovra-produzione.
I valori di laboratorio nei paesi “industrializzati” considerano nella norma valori di acido urico compresi tra 2,40 e 5,70 mg/dL nelle donne e tra 3,40 e 7, 00 mg/dL negli uomini. Tuttavia, sono state osservate correlazioni con patologie come decadimento cognitivo e malattie cardiovascolari anche in chi presenta valori di acidi urici medio-alti compresi tra 5-6 mg/dL.
Seppur ancora all’interno dei valori laboratoristici di riferimento, quindi, in questi casi è necessario riportare l’attenzione sul modo in cui si sta mangiando e sullo stile di vita che si sta seguendo.
L’eccessiva concentrazione di acido urico nel sangue rappresenta anche un fattore di rischio per lo sviluppo della gotta, patologia che implica la formazione di edemi e infiammazioni a carico delle articolazioni dovuti proprio al deposito di acido urico in eccesso che precipita e si deposita.
Interessante anche notare come i livelli di acidi urici nel sangue siano più elevati nei paesi “iperalimentati” rispetto al resto del mondo.
Tra il 1700 e il 1800, a causa dell’elevata incidenza della gotta nelle classi più abbienti, questa malattia veniva definita “la malattia dei re” perché colpiva solamente chi poteva permettersi di mangiare tanto; attualmente torna a colpire almeno 500 mila italiani ogni anno (un italiano su quattro).
In questo secolo l’aumento di acido urico è correlato alla presenza sempre più consistente nella dieta occidentale di zuccheri aggiunti e specialmente di fruttosio. Nei paesi non occidentali l’iperuricemia è, al contrario, un evento piuttosto raro nelle comunità rurali.
Poiché il fruttosio viene metabolizzato direttamente dal fegato, per diverso tempo si è creduto che il fruttosio potesse essere “da preferire” in chi è diabetico o avesse una bassa tolleranza agli zuccheri. L’evoluzione scientifica invece ha permesso di capire che al contrario un suo consumo eccessivo ha un effetto negativo sul quadro lipidico, aumentando i trigliceridi, gli acidi urici e favorendo l’incremento ponderale.
L’eccessiva permanenza di zucchero e di fruttosio nel sangue può infatti determinare delle reazioni spontanee in cui gli zuccheri si legano a proteine e lipidi modificando la funzionalità di queste molecole provocando infiammazione.
Per capire se vi è un consumo eccessivo di fruttosio, glucosio alcol e dolcificanti nella dieta è possibile misurare due nuovi biomarcatori: albumina glicata e metilgliossale. Un valore mosso di una di queste sostanze può rappresentare una alterata risposta individuale a glucosio, alcol, fruttosio e polioli. Test innovativi come test PerMè e Glyco Test consentono di misurare i danni precoci da zucchero suggerendo un protocollo dietetico personalizzato mirato a riequilibrare la risposta glicemica senza dover necessariamente rinunciare all’occasionale piacere del dolce nel rispetto della propria individualità.