Dermatite allergica che non guarisce. E se fosse infiammazione di tipo 2?
Molte forme di dermatite o di eczema, classicamente definite di tipo “atopico” o considerate comunque allergiche, rispondono spesso al trattamento acuto con cortisonici o immunosoppressori locali ma, poco dopo la sospensione del trattamento, ricompaiono talora anche peggiorate.
Eppure ci sono tutti gli aspetti delle malattie allergiche classiche, con elevati livelli di IgE (Immunoglobuline E) verso alimenti o sostanze respiratorie (facilmente acari, muffe e spesso graminacee) per le quali anche i costosissimi trattamenti con sostanze biologiche “anti IgE” non sortiscono effetti prolungati.
Questa mancanza di risultati ha portato a riconsiderare gli aspetti di questi disturbi in cui è presente una forte forma di infiammazione ed è presente ANCHE una componente allergica (IgE o eosinofili) ma in cui il classico trattamento antiallergico non porta alla guarigione.
Si è visto molto bene che questo aspetto vale anche per l’asma e su Eurosalus abbiamo già pubblicato un articolo dal titolo “Nè infezione né allergia: la tosse da cappuccio e brioche esiste” in cui abbiamo presentato tutti i dati scientifici che documentano questa realtà. Spesso ci sono eosinofili elevati (si innalzano anche in risposta a stimoli alimentari specifici) e altre interleuchine (ad esempio la IL13) che sono su livelli più elevati del normale ma soprattutto si considera la presenza di una reazione infiammatoria chiamata appunto “infiammazione di tipo 2” (type 2 inflammation).
Pur in presenza di IgE non dipende dalle IgE…
Per ora (e sottolineo “per ora”) questo tipo di situazione è stata verificata nelle poliposi nasali, nella esofagite eosinofila (il reflusso gastrico dei giovani e spesso anche degli adulti) e in molti casi di asma oltre che appunto in molte dermatiti. La mia sensazione, da ricercatore e da clinico è che le patologie correlate a questo tipo di valutazione non faranno che crescere di numero, già oggi ipotizzando la presenza tra loro della malattia di Crohn, della periodontite (piorrea) e della duodenite (trattata di solito a “botte” di protettori gastrici evitando di pensare alle sue possibili cause sistemiche).
La dottoressa Michela Speciani ha già pubblicato su Eurosalus alcuni articoli di sicuro interesse per affrontare le diverse dermatiti con questo innovativo approccio, ad esempio “Risolvere la dermatite si può” nel 2014 e “Disidrosi, nutrizione e stile di vita” nel 2018.
Di sicuro le tre forme di infiammazione legate all’alimentazione sono tutte coinvolte nella genesi della infiammazione di tipo 2, e la glicazione, legata agli effetti degli zuccheri, è ormai riconosciuta fin dal 2017 come possibile causa di quel 62% di reazioni allergiche o simil allergiche di cui non si comprenda una sola e univoca causa.
Questo è il motivo per cui nel centro SMA di Milano in cui lavoro, quando affrontiamo la terapia delle dermatiti, valutiamo sempre sia gli aspetti individuali legati alla glicazione sia quelli legati alla infiammazione da alimenti attraverso il test PerMè. Il profilo alimentare di ogni persona viene definito anche dallo studio delle IgG (diverse dalle IgE) specifiche per gli alimenti. Le IgG non indicano certo allergia ma indicano se quell’alimento o quel gruppo alimentare è mangiato in modo eccessivo o ripetitivo.
La presenza di IgG per gli alimenti in correlazione ad uno stato infiammatorio è stata riconfermata anche da una ricerca pubblicata sul British Medical Journal Open Gastroenterology nel luglio 2022, effettuata in persone stomizzate (col sacchettino) per capire quanto le stomie, localizzate ai diversi livelli intestinali, condizionassero la presenza di un aumentato livello di IgG (Carson WK et al, BMJ Open Gastroenterol. 2022 Jul;9(1).
Da questo studio emerge con chiarezza che se la digestione è completa e corretta (ben fatta lungo tutto il tragitto intestinale fino al colon) la possibilità di avere un aumento delle IgG specifiche è molto bassa. Se la digestione è incompleta (digiunostomie alte, ad esempio) le IgG possono essere a livelli molto elevati. Il confronto con soggetti non stomizzati ma con malattie infiammatorie intestinali (probabilmente di tipo 2) rivela ad esempio che malattia di Crohn, periodontite (piorrea), duodenite ed altre malattie infiammatorie hanno livelli di IgG alimentari molto elevati rispetto ai soggetti sani.
Questo riconferma che la valutazione del profilo alimentare individuale, con la lettura dei Grandi Gruppi Alimentari (come pubblicato internazionalmente su Nutrients), è la strada per definire quanto un aumento o una ripetizione del consumo di alimenti possa portare a patologie infiammatorie croniche. Non solo quelle intestinali ma anche quelle cutanee.
E quindi si precisa ancora una volta, attraverso uno studio indiretto, quanto la presenza di IgG alimentari sia possibile concausa di uno stato infiammatorio e suggerisce, come documentato su Nutrition & Metabolism, che una corretta dieta di rotazione possa portare alla riduzione delle IgG e alla riduzione dei sintomi infiammatori correlati.
Lo stesso va fatto in una dermatite. È necessario capire glicazione e infiammazione da alimenti, agire sulla dieta in modo rigorosamente personalizzato per aiutare l’intero organismo a riportarsi in equilibrio e curare la pelle controllandone l’infiammazione secondo questo criterio personalizzato e innovativo.
Il solo buon senso per la diagnosi, in questi casi non basta. Serve misurare, misurare e misurare, su base scientifica documentata, per poi applicare con umanità e buon senso (lì sì) i risultati nella pratica clinica.