E se le placche di colesterolo fossero una malattia autoimmune?
Vita sempre più dura per il colesterolo. Da nemico pubblico “numero uno”, da eliminare dalle tavole di qualsiasi individuo, si è passati ad una visione documentale e scientifica decisamente diversa.
Si credeva che il suo valore sanguigno dipendesse dalla assunzione di grassi (ad esempio formaggi, carni, salumi, salse) e soprattutto dalle uova, ma poi si è scoperto che il colesterolo che “fa male” è quello che viene prodotto dall’organismo e le uova sono state riabilitate.
Interessante l’articolo “Le uova come strumento di benessere” già pubblicato da anni su Eurosalus e soprattutto “Anche tre uova al giorno aiutano a levare il colesterolo di torno” che lo ha seguito a ruota, da cui si comprende, su base scientifica, che l’apporto di colesterolo naturalmente presente nelle uova può addirittura aiutare a ridurre la produzione endogena e mantenere corretti i suoi livelli sanguigni.
Un bellissimo articolo di Mattia Cappelletti spiega il significato di studi ancora più recenti che hanno riabilitato i grassi saturi e si può leggere il suo articolo a “La sentenza sui grassi: lardo e formaggi pienamente assolti”. Non poteva chiaramente mancare la scoperta della relazione tra livelli di colesterolo del sangue e assunzione di zuccheri, tema tra i più evidenti oggi che consentono nella nostra pratica clinica di suggerire interventi nutrizionali basati sui livelli di glicazione e sui livelli infiammatori presenti nell’organismo.
L’articolo su questo tema, di Linda Vona, si può trovare a “Zuccheri e colesterolo: la relazione che non ti aspetti” e le indicazioni su dove si possano trovare gli zuccheri nascosti si trova a “Zuccheri semplici, invisibili, nascosti”.
Come se non bastasse, per il povero colesterolo nascosto negli alimenti, una ricerca pubblicata su Nature Cardiovascular Research nel gennaio 2023 è andata a sondare se la formazione delle placche di colesterolo nelle arterie dipendesse da una reazione immunologica di tipo autoimmune.
Il tema è di estremo interesse perché ormai è palese che ci siano alcune persone con alti valori di colesterolo che non hanno alcun deposito o placca nelle loro arterie mentre all’opposto ci sono persone con bassi livelli di colesterolo con le arterie decisamente occluse dalle placche di grasso.
La risposta clinica al colesterolo dipende cioè sempre da un parametro individuale, e da immunologo capisco che la personalizzazione si esprime proprio grazie al sistema immunitario e la attivazione eventuale di processi autoimmuni.
Lo studio, effettuato soprattutto da ricercatori olandesi, suggerisce appunto che l’aterosclerosi abbia una componente autoimmune guidata da cellule T CD4+ autoreattive. Significa, per usare un linguaggio comprensibile, che è solo grazie ad una attivazione autoimmunitaria che si può creare il nucleo della placca che si posiziona a livello arterioso.
Come se la formazione della placca, questo è il senso dell’articolo, non dipendesse solo dai livelli di colesterolo (che sono sicuramente importanti) ma dalla attivazione di autoimmunità.
Per pensare ad almeno due aspetti della attivazione autoimmune è utile pensare che il BAFF, valutato dal Test PerMé e correlato alla ripetizione nella assunzione di alimenti, è un potente induttore di autoimmunità e che Polly Matzinger ha spiegato di recente che l’autoimmunità si attiva quando l’organismo percepisce una condizione ambientale di pericolo. Non solo “il colesterolo” ma anche, ad esempio, particolari livelli di stress.
Questo aiuta a comprendere perché, nonostante livelli bassi di colesterolo, alcune persone si ritrovino, sotto stress, a vedere crescere le loro placche arteriose in modo inarrestabile e soprattutto incomprensibile alla luce delle considerazioni attuali.
La lettura del BAFF, legato anche alla ripetizione alimentare, può aiutare a capire cosa stia avvenendo in ogni organismo perché l’infiammazione (dovuta a particolari citochine) può effettivamente attivare l’autoimmunità. Si parla di una sostanza infiammatoria che oltre che attivare l’autoimmunità provoca alterazioni importanti nel metabolismo, contribuendo quindi all’incremento dei livelli di colesterolo e alle alterazioni della glicemia.
Quindi la problematica del colesterolo, al di là delle attuali discussioni e delle ampie oscillazioni dei valori considerati corretti negli anni, va affrontata con la riduzione della glicazione, con la lettura paziente dei livelli di predisposizione personalizzati, per evitare di trovarsi in una condizione in cui magari compaiano le placche anche con valori di colesterolo corretti.
Per questo motivo, nel centro SMA in cui lavoro studiamo in modo personalizzato l’alimentazione anche in tutte le condizioni di autoimmunità. La possibilità che una condizione di glicazione elevata (identificabile con i test GEK Lab) o di infiammazione alimentare misconosciuta siano alla base del suo scatenamento è ormai evidente, documentata e applicabile in ambito clinico.