Acqua da bere: a ognuno la sua
Secondo gli antichi filosofi elleni, in particolare secondo Talete (VI sec. a.c.), l’acqua era la materia prima, l’insieme indistinto da cui tutto ha origine e, infatti, l’esperienza insegna che tutte le cose nascono e si sviluppano grazie alla presenza di umidità.
Le risorse idriche sono di particolare importanza ecologica e biologica in quanto l’acqua è una delle sostanze essenziali per l’uomo e per tutti gli esseri viventi, tanto che la sua disponibilità ha da sempre determinato la mappa della civilizzazione.
Meno dell’1% dell’acqua esistente sul pianeta Terra, però, è costituita da acque dolci, idonee a sostenere la vita dell’uomo.
Diviene, quindi, di particolare importanza utilizzare al meglio le risorse idriche, rivalutare e tutelare questo prezioso bene.
Sono molti i consumatori che si affidano all’acqua di rubinetto proprio con queste finalità, ma per sapere se si sta scegliendo bene anche per la propria salute è fondamentale tener d’occhio le informazioni che gli enti acquedottistici sono obbligati a fornire all’utente e che devono rispondere ad una precisa normativa, con valori dei parametri di accettabilità diversi da quelli previsti per le acque minerali.
Dal punto di vista fisico un’acqua potabile deve essere incolore, inodore, insapore, limpida, areata e fresca, e tali requisiti debbono mantenersi costanti nelle varie stagioni per testimoniare la provenienza dell’acqua da falde profonde al riparo da inquinamenti superficiali.
Brusche variazioni di temperatura in corrispondenza di abbondanti precipitazioni rivelano, infatti, probabili infiltrazioni nella falda da parte di acque di superficie e, quindi, pericolo di inquinamento.
Chimicamente l’acqua potabile deve avere un residuo fisso (sali disciolti) compreso fra 70 e 500 mg per litro; non deve contenere ammoniaca, nitriti, grandi quantità di nitrati (sostanze di per sé non dannose, ma provenienti in genere da putrefazione di sostanze organiche), fosfati, cloruri e metalli pericolosi per la salute (piombo, mercurio…).
Dal punto di vista batteriologico essa non deve contenere molti germi (non più di 100 per ogni cm cubo) e, comunque, nessun germe patogeno.
Il DPR 236/88 (che recepisce la direttiva europea 80/778) stabilisce, invece, i requisiti di qualità che devono possedere le acque potabili destinate al consumo umano, qualunque ne sia l’origine (sia che vengano prelevate direttamente alla fonte sia che vengano distribuite da acquedotti pubblici).
Le analisi tossicologiche di laboratorio non riguardano, naturalmente, tutti gli innumerevoli composti chimici esistenti in natura, per cui sono stati fissati degli standard di sicurezza per tutta una serie di parametri che più usualmente determinano l’inquinamento dell’acqua.
Per ciascun parametro sono stati, pertanto, determinati i limiti (detti CMA, Concentrazioni Massime Ammissibili) che non possono essere mai superati perché, in caso contrario, il consumo dell’acqua diventerebbe pericoloso per la salute. A fianco dei CMA sono stati previsti, per ogni parametro, dei Valori Guida (VG), che rappresentano i livelli ottimali a cui ogni acquedotto dovrebbe tendere per garantire un’acqua di ottima qualità.
L’acqua destinata al consumo umano può subire un significativo peggioramento della qualità originaria, non solo per l’inquinamento delle falde sotterranee e dei corsi d’acqua superficiali, ma anche per il contatto con i materiali costituenti le reti di distribuzione.
Il fenomeno della corrosione risulta particolarmente grave in Italia dove persiste un sistema di reti di distribuzione antiquato che utilizza prevalentemente tubazioni realizzate in materiali ferrosi, plastica o addirittura cemento/amianto.
Utile, dunque, prestare attenzione all’analisi delle acque pubblicata con regolarità sulle bollette, secondo i tempi di ogni Comune, per scegliere di bere acqua del rubinetto in modo consapevole.
Spesso, però, la necessità di utilizzare cloro attivo o altri disinfettanti per la potabilizzazione può rendere l’acqua trattata poco gradevole, il che ha indotto il consumatore ad acquistare in misura crescente acqua minerale, ritenuta più “buona” e sicura per la salute.
Le acque minerali naturali, in relazione alla loro composizione chimica si classificano in base al loro “residuo fisso”.
Il residuo fisso corrisponde alla quantità di sali disciolti in un litro di acqua: più il residuo fisso è basso, più l’acqua risulta leggera. Obbligatoriamente, il suo valore deve essere riportato in etichetta ed espresso in milligrammi per litro (mg/l).
In base alla presenza di sali disciolti le acque minerali si possono classificare in diverse categorie e avere, di conseguenza, qualità cliniche dichiarate in etichetta e autorizzate dal Ministero della Sanità.
Le acque minimamente mineralizzate, caratterizzate cioè dalla presenza di sali disciolti inferiore a 50 mg/L, sono assorbite in tempi rapidissimi a livello gastrico e determinano un marcato aumento della diuresi, trovando la loro principale indicazione nella cura della calcolosi delle vie urinarie. In particolare, hanno la funzione di impedire che i cristalli di ossalato si uniscano ed aumentino di dimensione.
Interessante è il loro uso in pediatria, per la ricostituzione del latte in polvere: queste acque non modificano il contenuto salino del latte e quindi non sconvolgono una formula accuratamente studiata.
Queste acque trovano, inoltre, una felice collocazione in tutte le situazioni in cui è necessario un intervento dietetico caratterizzato da un ridotto apporto di sodio, come ad esempio nell’ipertensione arteriosa
Le acque oligominerali, caratterizzate dalla presenza di sali disciolti inferiore a 500 mg/L, raggruppano le acque così dette “leggere”, adatte al consumo quotidiano.
Di estremo interesse clinico è l’azione che queste acque esercitano sul metabolismo purinico, con l’eliminazione dell’azoto e acido urico con le urine.
Le acque minerali, caratterizzate per la presenza di sali disciolti tra 500 e 1500 mg/l, rappresentano il 24% delle acque attualmente in commercio. L’azione di queste acque è analoga a quella delle acque oligominerali, sebbene l’effetto diuretico diminuisca progressivamente con l’aumentare del residuo fisso.
L’uso quotidiano di acque minerali con oltre 1000 mg/l di residuo fisso può portare un eccesso di sali nella dieta, specie per quanto riguarda il sodio. Per questo è bene alternarle con acque oligominerali.
Le acque ricche in sali minerali sono caratterizzate per la presenza di sali oltre i 1500 mg/l e sono sconsigliate per il consumo quotidiano. Di solito si usano a scopo terapeutico per l’elevata presenza di sodio, solfati, potassio, magnesio ed altri sali.
Le acque contenenti bicarbonato (bicarbonato sopra i 600 mg/l) favoriscono la digestione, accelerando lo svuotamento gastrico, se bevute durante i pasti, e tamponano l’acidità gastrica se assunte a digiuno.
Sono indicate per chi fa sport, in quanto bicarbonato e calcio sono in grado di neutralizzare le scorie del metabolismo muscolare (acido lattico).
Positivo il loro impiego nelle dispepsie gastriche della prima infanzia (vomito abituale del lattante) e come integrante alimentare del neonato, poiché forniscono numerosi elementi minerali preziosi.
Presentano, inoltre, una buona azione diuretica (correlata in parte ai valori del residuo fisso) ed inducono un effetto spasmolitico che le rende efficaci nelle forme di cistite recidivante.
Le acque solfate (solfati sopra i 200mg/l) espletano sullo stomaco un’azione più equilibratrice e meno stimolante delle acque bicarbonato-calciche. Esercitano inoltre un effetto rilassante sulla muscolatura biliare, così da trovare un impiego efficace nei disturbi epatobiliari.
Se consumate in grandi quantità possono avere un effetto lassativo.
Le acque calciche (calcio sopra i 150 mg/l.) sono utili per le donne in gravidanza o in menopausa e per i ragazzi in crescita.
Le acque magnesiche (magnesio sopra i 50 mg/l) svolgono prevalentemente un’azione purgativa, ma trovano anche indicazione nella prevenzione dell’arteriosclerosi, perché come quelle contenenti litio o potassio inducono una sensibile dilatazione delle arterie.
Una dieta equilibrata prevede 200-300 mg di magnesio al giorno; una sua carenza può causare crampi, affaticamento muscolare ed una minore resistenza allo stress.
Le acque ferruginose presentano un contenuto di ferro (Fe++) superiore a 1mg/l. Sono indicate, per chi soffre di un’anemia ferropriva, come integratori delle terapie mediche.
Le acque acidule presentano un tasso di anidride carbonica libera alla sorgente superiore a 250 mg/l.
Le acqua gassate dissetano meglio, in quanto anestetizzano le terminazione nervose della mucosa orale coinvolte nel desiderio di bere ed inducono dilatazione dello stomaco con conseguente apparente sazietà.
Queste acque risultano controindicate in soggetti che soffrono di acidità di stomaco, gastrite od ulcera gastrica, inoltre sono frequente causa di una sensazione di gonfiore addominale specie in chi è predisposto a fermentazione intestinale.
Le acque sodiche (sodio sopra i 200 mg/l) hanno una funzione biologica importante, in quanto lo ione Na++ influenza positivamente l’eccitabilità neuromuscolare. Le sue concentrazioni massime ammissibili (CMA) stabilite da un gruppo di lavoro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è di 120 mg/l.
Non tutte le acque sono uguali, dunque, e per scegliere bene è utile imparare a leggere in etichetta le caratteristiche dell’acqua, privilegiando le oligominerali e le mediominerali. Per altre esigenze è sempre bene rivolgersi al proprio medico o al proprio nutrizionista di fiducia.
Inoltre, attenzione ai prezzi, non è detto che le acque più care debbano essere per forza le migliori.
Buona idratazione a tutti!
Bibliografia essenziale
- D. Zamperini, Chiare fresche dolci acque, Occhio clinico, novembre 2000.
- V. Silano, Acque da salvare, Bologna, ed. Pitagora Editrice 1992, p. 2.
- J. Elkington, Guida Verde Del Consumatore, Longanesi & C., 1999, pag. 51-52.
- ISTAT, Statistiche Ambientali, 2000.