Nel 2050 la domanda di cibo sarà il doppio di oggi
Parlare di emergenza forse è troppo; parlare di urgenza, invece, è più appropriato. Tra meno di 40 anni, nel 2050, il fabbisogno mondiale di cibo sarà il doppio dell’attuale. A dirlo è uno studio condotto da un team di scienziati ed ecologi di più università statunitensi e pubblicato sul periodico scientifico Pnas. Gli studiosi sono giunti a quel risultato incrociando un dato di fatto e due proiezioni. Il primo è, se vogliamo, un po’ scontato: più una nazione è ricca (l’indice di riferimento utilizzato è il Pil), più alto è il consumo di alimenti. Quanto alle proiezioni, sono state effettuale sulla curva demografica mondiale e sui trend di crescita globali del Prodotto Interno Lordo: la prima dice che nel 2050 la Terra ospiterà 9 miliardi di individui (da poche settimane abbiamo superato la soglia dei 7 miliardi); la seconda parla di un incremento anno medio del 2,5% del Pil mondiale. La combinazione dei tre fattori dice quindi 100% di cibo in più, tra 38 anni, per soddisfare le esigenze del pianeta.
Come per ogni previsione, bisognerà poi fare i conti con la naturale imprevedibilità degli eventi e la possibilità che i conti siano diversi. Tuttavia, quanto sopra impone la ricerca, anche solo in via teorica, di una soluzione. Gli studiosi hanno ventilato due ipotesi concretamente praticabili: estendere la superficie di territorio coltivabile; aumentare la resa dei terreni attuali, senza toccarne le dimensioni. La prima strada, cioè il consumo di nuova terra, è già praticata soprattutto nei Paesi in Via di Sviluppo (anche in modo controverso, per mezzo del cosiddetto land grabbing) e risulta essere insostenibile sotto il profilo ambientale. Le sue conseguenze, attualmente verificate, sono ecosistemi distrutti, biodiversità dispersa, aumento dei gas serra e del riscaldamento del pianeta. Se la destinazione di nuove terre all’agricoltura continuerà con i ritmi attuali, sempre nel 2050 i terreni coltivati si estenderanno su oltre un miliardo di ettari, cioè un quarto della superficie mondiale ricoperta ora da boschi e foreste.
La strada obbligata è dunque la seconda, che passa anzitutto dal trasferimento delle tecnologie agricole più avanzate ed efficaci ai suddetti Paesi. Ciò significa miglioramento dei fertilizzanti, della resistenza delle colture a patologie e avversità meteorologiche, maggior uso di attività meccanizzate e, quindi, minor impiego di manodopera. Solo questa strada, concludono gli autori dello studio, “costituisce un percorso promettente rispetto alla possibilità di garantire riserve di cibo più eque per tutti, tramite un’intensificazione sostenibile della produttività agricola”.