Esofagite eosinofila
L’esofagite eosinofila (spesso abbreviata con EoE, iniziali inglesi di Eosinphilic Esophagitis) è una malattia cronica dell’esofago che dipende da una reazione immunologica e infiammatoria, stimolata anche da allergeni e caratterizzata da tutti i sintomi tipici della disfunzione esofagea (reflusso, difficoltà di deglutizione, dolore retrosternale eccetera), causati da un’infiammazione in cui sono coinvolti in modo dominante gli eosinofili, un particolare tipo di globuli bianchi che si innalzano spesso se esistono delle interferenze intestinali, come una parassitosi o una infiammazione dovuta al cibo.
Questa definizione è, ad oggi, comunemente accettata dalla maggior parte degli esperti, ma in considerazione del crescente interesse rivolto a questa patologia, i criteri per la sua diagnosi potrebbero, nel corso di un tempo anche breve, cambiare e rendere inadeguati questi criteri diagnostici.
La sintomatologia dei pazienti con esofagite eosinofila è caratterizzata da una vasta gamma di sintomi, tra cui la disfagia, l’arresto di cibo in esofago, la difficoltà alla deglutizione, la fragilità delle mucose faringee e esofagee, il bruciore retrosternale e il dolore retrosternale.
La maggior parte degli adulti presenta una disfagia più o meno intensa che si manifesta con la sensazione di blocco del bolo a livello digestivo, come se si fermasse in esofago. Questi sintomi tendono a manifestarsi in modo sempre più frequente con una durata dell’episodio in crescita. Una masticazione più accurata e più lenta, accompagnata dall’uso attento di acqua o altri liquidi, rende le manifestazioni meno evidenti.
Nei bambini affetti da questo tipo di esofagite, i sintomi possono essere meno specifici e vengono di solito riferiti a dispepsia, pirosi retrosternale o dolori addominali. Nei bambini più che negli adulti si possono evidenziare fenomeni di iponutrizione e di carenze minerali e vitaminiche. Nei più piccoli il rifiuto di mangiare (possibile espressione del disagio alla deglutizione) può determinare anche un ritado di crescita.
Per definire la diagnosi di questa malattia nel modo classico, è indispensabile che si evidenzino
- Sintomi tipici della disfunzione esofagea
- Presenza di eosinofili in numero > di 15 per campo alla biopsia esofagea
- Limitazione della eosinofilia al solo esofago
- Esclusione della altre possibili cause di eosinofilia sistemica
- Mancata risposta al trattamento con protettori gastrici ad alta dose
Si è quindi di fronte ad una malattia che dalla sua comparsa ad oggi ha dato un po’ di “gatte da pelare” ai gastroenterologi perché la EoE è per sua struttura insensibile al trattamento con i protettori gastrici, non dipendendo da una iperacidità gastrica ma dalla infiammazione persistente a livello della struttura esofagea, tema che obbliga un ragionamento causale di tipo sistemico e non legato solo all’apparato digestivo.
Nel centro SMA in cui esercito, lavoriamo sulla EoE da molti anni, accompagnandone la sua evoluzione conoscitiva, eziopatogenetica e terapeutica attraverso la riduzione della infiammazione.
Il primo articolo divulgativo in cui ne abbiamo parlato su Eurosalus, risale ancora al lontano 2007. Nei lavori proposti già allora, emergeva la presenza frequentissima di questa patologia in soggetti giovani cui veniva data solo l’indicazione di assumere Inibitori di Pompa Protonica (IPP, i cosiddetti protettori gastrici) senza averne beneficio, fattto che ha portato i medici a dovere definire un’altra possibile causa.
Nel corso degli ultimi anni la EoE ha evidenziato delle possibilità di risposta non tanto per la utilizzazione di budesonide od altri corticosteroidi ad azione locale ma per una impostazione di tipo nutrizionale, basata sulla eliminazione di alcune categorie di alimenti. Mentre i gastroenterologi arrivano al trattamento dietetico solo come se fosse l’ultima opzione, allergologi e immunologi propongono questo tipo di soluzione quasi fin dall’inizio, leggendo in molti casi la risposta infiammatoria proprio come dovuta al contatto con gli alimenti.
Al punto tale che la dottoressa Cianferoni, immunologa e pediatra del Children’s Hospital of Philadelphia propone la risposta della EoE come una sorta di “allergia non mediata dalle IgE”, perchè pur in assenza di specifiche immunoglobuline E per gli alimenti, la loro somministrazione genera una risposta infiammatoria e immunologica evidente.
La stessa Antonella Cianferoni, fin dal 2016 aveva pubblcato sul Journal of Asthma and Allergy un lavoro in cui dettagliava la possibile azione del frumento, sempre non mediata dalle IgE, come causa sia della EoE sia della Gastrite eosinofila, sia della Enterite eosinofila, come se comunque gli alimenti, anche in assenza di una specifica allergia, possano determinare una specifica infiammazione da cibo.
Vale la pena ricordare che ormai l’infiammazione da cibo è insegnata in Università, documenta decine di migliaia di lavori pubblicati su PubMed ed è scientificamente evidente, ma se ancora oggi qualcuno fatica a riconoscerla, anni fa il solo parlarne portav ad essere tacciati di ignoranza o di ciarlataneria.
Una volta quindi escluse le cause sistemiche di eosinofilia, la causa alimentare va studiata ed analizzata a fondo.
Lo scopo della terapia della EoE è quello di migliorare i sintomi clinici e l’infiltrato eosinofilo a livello esofageo, al fine di ottenere una regressione completa ed evitare la fibrosi esofagea. Le linee guida prevedono la effettuazione ripetuta di biopsie esofagee per valutare la presenza di infiltrato eosinofilo. Inutile dire che la ripetizione di biopsie non facilita da parte del paziente, spesso giovane, il mantenimento di una adeguatezza terapeutica.
Lo schema di trattamento classico prevede in sequenza:
- Somministrazione di protettori gastrici ad alto dosaggio per almeno 8 settimane
- Somministrazione di spray di budesonide per ridurre l’infiammazione faringea e (forse) esofagea per altre 8 settimane
- Inizio di una dieta di esclusione dei 6 gruppi di alimenti con graduale riduzione dei farmaci in relazione ai benefici ottenuti.
Si tratta di una terapia che parte ancora dalla somministrazione farmacologica mentre, come detto sopra, la terapia dietetica sta evidenziando sul piano immunologico tutta la sua validità.
Fin dal 2014, un gruppo di gastroenterologi spagnoli ha pubblicato sul Journal of Allergy and Clinical Immunology (JACY) una ricerca sulla efficacia della dieta di esclusione dei 6 alimenti o dei 4 alimenti. Il protocollo di allora prevedeva l’eliminazione iniziale di 4 alimenti (Latte, grano, uova e legumi includendo la soia) che passava a 6 gruppi nel caso di inefficacia (con l’aggiunta della eliminazione di pesce e semi oleosi come le noci o i pinoli (Molina-Infante J et al, J Allergy Clin Immunol. 2014 Nov;134(5):1093-9.e1. doi: 10.1016/j.jaci.2014.07.023. Epub 2014 Aug 28).
Un terzo delle persone che non rispondevano alla dieta empirica di eliminazione dei 4 gruppi alimentari, andando ad eliminarene 6, aveva dei giovamenti evidenti, portando la risposta positiva al trattamento dietetico al 72% dei casi trattati. Dopo la regressione i cibi venivano reintrodotti e la reazione compariva solo per 1 o 2 gruppi alimentari che venivano poi mantenuti in esclusione.
Il latte (insieme a tutti gli alimenti lattierocaseari) si è mostrato in grado di indurre EoE nel 50% dei pazienti. Il frumento nel 30-60% dei pazienti (a seconda delle ricerche pubblicate) e le uova nel 36% dei casi. In quasi il 30% dei pazienti il latte e i prodotti correlati si sono dimostrati gli unici agenti causali.
Sempre sul JACI, nel 2020, Seema Aceves, lo stesso gastroenterologo statunitense che da 20 anni ha indicato la inutilità dei protettori gastrici in moltissimi casi di sintomatologia da reflusso, in una importante review ha riproposto quanto indicato in queste pagine dando una impostazione sistematica alla diagnosi e al trattamento di questa forma.
Inoltre una ricerca pubblicata su Nutrients nel maggio 2021 da un gruppo di gastroenterologi italiani, ha confermato la necessità di personalizzare il trattamento nei soggetti con EoE, evitando in particolare di effettuare diagnosi sulla base della ricerca di IgE (Prick e RAST alimentari) che evidenziano un risultato positivo solo nel 13% dei casi.
La considerazione, in un mondo che va sempre di più verso la medicina di precisione e verso la personalizzazione delle terapie, è quella della scelta dietetica individualizzata, come per altro definito da un lavoro effettuato dal nostro gruppo di ricerca nel caso delle malattie infiammatorie intestinali e della sindrome del colon irritabile.
[chapter]Lo schema preferito[/chapter]
- Verificare una eventuale componente immunologica che vada al di là del solo aspetto sintomatologico, attraverso la effettuazione di un test PerMè
- Impostare una dieta di rotazione (e non di esclusione) sugli alimenti e sugli zuccheri in modo personalizzato e non su “schema generico” verificando i sintomi in modo progressivo e graduato ad evitare gradualmente l’uso di protettori gastrici e la accentuazione possibile di ulteriori allergie alimentari come effetto collaterale
- Lavorare insieme al paziente per recuperare un rapporto alimentare positivo nei confronti degli alimenti e riprendere, anche se a rotazione, una fisiologica relazione con il cibo e una vita di relazione più semplice
- Controllare con gastroscopie e biopsie meno frequenti la situazione locale confrontandola con la sintomatologia clinica.
Va tenuto presente che la utilizzazione di IPP porta (forse) a qualche beneficio ma impedisce l’assorbimento delle proteine (le protesi agiscono a pH 1.8/2.3 non certo a 6.5/7.4 come determinato dalla assunzione di protettori gastrici) ricreando tematiche infiammatorie alimentari come spiegato dalla Harvard Medical School.
Quindi la nostra prassi è di personalizzare l’aspetto nutrizionale evitando qualsiasi riferimento a “cibi nemici” e riportando ad una varietà alimentare che controlli l’infiammazione. L’impostazione personalizzata ha sempre portato ad un miglioramento clinico, alla possibile sospensione farmacologica e in molti casi alla risoluzione del quadro.
Pur in presenza di un sintomo periferico di tipo esofageo, si evidenzia spesso un quadro di malassorbimento importante (come una grave carenza di vitamina D3) e un quadro immunologico di leucopenia e di microcitemia che meritano un approfondimento attraverso classici esami ematologici che si affiancano ai test di GEKLab che usiamo per la comprensione della infiammazione da glicazione e agli effetti dell’eccessiva o ripetuta introduzione di alcuni alimenti.
La valutazione di zinchemia, folati, B12, C3, C4, ANA ed ENA e ferritina appare il minimo “sindacale” da valutare per cogliere aspetti generali di tipo immunitario.
La parte legata alla glicazione e alla sua azione infiammatoria e metabolica va valutata anche con glicemia a digiuno, insulina basale, albumina glicata e fruttosamina.