Epatite virale
Quando si parla di epatite virale si implica sia il concetto di epatite, e quindi di infiammazione del fegato, che quello di infezione, in questo caso virale.
I virus che possono infettare il fegato sono innumerevoli, ma solo un ristretto numero di questi ricopre un ruolo rilevante.
I principali, con uno spiccato trofismo per il fegato (quindi la capacità di crescere e proliferare al suo interno ), sono definiti virus epatotropi “maggiori” e sono: HAV, HBV, HCV, HDV e HEV.
Altri virus con un trofismo meno pronunciato, ma capaci di dare epatiti rilevanti, sono definiti “minori” e sono: EBV, CMV, HSV e Coxsackie virus (questi ultimi tipicamente responsabili di infezioni intestinali).
Il riscontro di epatite è spesso accidentale con l’evidenza di un rialzo delle transaminasi durante esami ematici di routine, ed è importante ricordare che se non vengono ricercati gli anticorpi specifici od il genoma virale la diagnosi può essere mancata anche per diversi anni.
Data l’ampia varietà e l’estrema diversità dei possibili responsabili di un’epatite virale, è impossibile fare una trattazione unica ed esaustiva, ma si valuteranno i tratti comuni e le caratteristiche principali dei virus più frequentemente responsabili.
L’epatite virale, al pari delle epatiti, è in gran parte dei casi asintomatica o paucisintomatica (che vuol dire “con pochi sintomi”).
I sintomi più frequenti di epatite virale sono caratterizzati da una modesta astenia (il “senso di stanchezza”) ed una più facile affaticabilità, al pari di quando le infezioni virali colpiscono altri organi del proprio corpo.
Bisogna ricordare che proprio per la modestia dei sintomi un’epatite virale può restare non diagnosticata anche per decenni, in quanto se non vengono ricercati antigeni/anticorpi specifici od il genoma virale, le indagini “di routine” possono non rivelare alterazioni degne di nota.
Una frazione di pazienti sviluppa invece un’importante reazione infiammatoria all’infezione “acuta” (quindi recente) con ittero (la pelle che diventa gialla) e livelli di transaminasi (che sono marcatori di danno epatico) anche diverse decine di volte il valore normale.
Questa reazione, qualora non sia talmente importante da definire un’epatite “fulminante” con lo sviluppo di insufficienza epatica, si associa maggiormente ad una guarigione.
I sintomi dell’epatite virale spesso si manifestano quando questa ha prodotto cospicuo danno al fegato fino alla “cirrosi” (che si può manifestare tramite ingrossamento della milza, colore brunito della pelle, evidenziazione del circolo venoso superficiale dell’addome, comparsa di angiomi sulla cute, ascite/acqua nella pancia, edemi, varici esofagee…) o all’epatocarcinoma (chiamato anche HCC, un tumore maligno primitivo del fegato).
Va ricordato inoltre che vi possono anche essere sintomi di epatite virale che non sono direttamente correlati con il fegato (vengono definiti “manifestazioni extraepatiche”).
Il più celebre è rappresentato dalla presenza di crioglobuline nel sangue, dosabili tramite uno speciale esame ematico e correlate in larga parte all’infezione da HCV.
Si tratta di complessi di immunoglobuline in grado di “precipitare” in determinate circostanze causando infiammazione e danno ai vasi ed ai vari organi, sintomo che si esplica spesso con rash cutanei tipicamente alle gambe e/o dolori articolari migranti.
Trattandosi di epatite virale la causa è l’infezione dell’organismo, e del fegato, da parte di un virus.
Le modalità di trasmissione però variano enormemente a seconda del tipo di virus di cui si tratta.
Epatite A (HAV)
La trasmissione del virus dell’epatite A (HAV) è orofecale, ovvero si può contrarre con l’ingestione di cibo contaminato. Nella maggior parte dei casi sono responsabili cibi crudi o poco cotti (il virus non resiste alle alte temperature), generalmente (ma non solo) molluschi o crostacei allevati in acque contaminate.
A riprova del fatto che non sono solo questi i cibi “a rischio” vi è l’epidemia di epatite A di qualche anno fa data dalla contaminazione di una coltivazione di mirtilli usati per preparati alimentari semi-industriali e distribuiti in tutta l’Europa centrale.
Epatite B (HBV)
Per quanto concerne il virus dell’epatite B (HBV) la trasmissione è definita “parenterale”, ovvero tramite trasfusione di sangue infetto (evento praticamente inesistente nei Paesi “industrializzati”), tagli o punture con strumenti contaminati (da ricordare tra questi anche tatuaggi e manicure/pedicure), utilizzo di strumenti per l’igiene personale infetti, rapporti sessuali non protetti e riveste un ruolo importante anche la trasmissione materno-fetale.
Va ricordato che il virus HBV è molto resistente e può resistere sulle superfici fino a 7 giorni se non adeguatamente disinfettate.
Epatite C (HCV)
Anche il virus dell’epatite C (HCV) è a trasmissione parenterale. Tra le modalità più comuni vi sono l’utilizzo di droghe endovena, i tatuaggi e le punture o tagli in genere con strumenti non sterilizzati o le trasfusioni con sangue infetto (evento anche qui ad oggi quasi del tutto eliminato, in Italia si considerano “sicure” le trasfusioni effettuate dopo il 1992).
La trasmissione per via sessuale è meno efficiente rispetto all’HBV.
La possibilità di contagio materno-fetale si stima essere intorno al 5%.
Epatite D (HDV)
L’infezione da virus Delta (HDV) può avvenire solo se vi è presente anche l’infezione da virus HBV. Il virus HDV infatti ha un genoma deficitario e non può replicare efficacemente se HBV non è presente.
Le modalità di trasmissione sono le medesime rispetto ad HBV. Gli scenari in caso di infezione da HDV possono essere di infezione simultanea HBV+HDV, con un quadro generalmente simile a quello dell’infezione da sola HBV, oppure di infezione da HDV in un paziente già infetto HBV. In questo ultimo caso si ha frequentemente un’infezione acuta molto pronunciata che può anche portare all’insufficienza epatica.
Epatite E (HEV)
L’infezione da virus dell’epatite E (HEV) è a trasmissione orofecale, ed è in questo simile all’epatite A. Generalmente il contagio avviene durante viaggi in aree con scarse norme di igiene.
È importante ricordare che l’epatite E, qualora contratta in gravidanza, comporta un rischio di mortalità materna del 20%, specialmente nel terzo trimestre.
Il “trattamento” principale delle epatiti virali passa dalla prevenzione dell’infezione primaria e secondariamente varia a seconda del virus (o dei virus) in questione.
Epatite A
Il decorso dell’epatite A è acuto (ovvero minore di 6 mesi), ed è asintomatico nella maggior parte dei casi.
Una minoranza di casi sviluppa epatite acuta, che richiede ospedalizzazione ed è soggetta a denuncia obbligatoria all’ASL.
È fatale in una percentuale di casi compresa tra lo 0.1-1.8%.
Non esiste terapia specifica contro il virus HAV, ma esiste un vaccino efficace in 14-21 giorni. La guarigione garantisce immunità contro le future re-infezioni.
Epatite B
Il decorso dell’epatite B (HBV) è grandemente influenzato dall’età a cui viene contratta l’infezione.
L’infezione HBV cronicizza (quindi si protrae per più di 6 mesi, generalmente a vita) in percentuali elevatissime (superiori al 95%) quando viene contratta dai neonati, mentre per gli adulti questa percentuale si attesta attorno al 5-10% dei casi.
Il trattamento, ad oggi, si avvale di farmaci antivirali diretti, in grado di sopprimere la replicazione virale, ma non di “eliminare” l’infezione, e/o immunomodulatori, a seconda del quadro.
La vaccinazione per HBV, efficace ed obbligatoria in Italia, è lo strumento migliore di protezione contro questo virus. La guarigione, infatti, nonostante produca anticorpi protettivi nei confronti dell’HBV non è in grado di eliminare tutti i residui del virus. Questi sono capaci di restare “dormienti” nel fegato del soggetto “guarito” virtualmente per tutta la vita del soggetto, mantenendo però la possibilità di “risvegliarsi” e dare una reazione epatitica (anche fatale). Questo avviene in caso sopraggiunga un deficit del sistema immunitario, come nel corso di terapie immunosoppressive, chemioterapiche o trapianti.
Il quadro potrebbe cambiare in futuro con l’avvento di nuovi antivirali, attualmente in fase di sperimentazione, in grado di eliminare del tutto l’infezione.
Epatite D
L’infezione da virus dell’epatite Delta (HDV) necessita, come già detto, della presenza in contemporanea dell’HBV.
Ad oggi non esiste terapia specifica, ma solo il monitoraggio dell’andamento e la chance terapeutica è data dall’eliminazione dell’infezione da HBV. La prevenzione con vaccinazione per HBV risulta quindi “protettiva” anche per l’infezione da HDV.
Nuovi antivirali in grado di eliminare HBV dovrebbero divenire disponibili nei prossimi anni, cambiando radicalmente anche il corso di chi ha infezione HBV+HDV.
Epatite C
L’infezione da virus dell’epatite C (HCV) può avere un decorso acuto o restare silente e non dare segno di sé anche per decenni, quindi se non viene ricercato il genoma virale o l’anticorpo specifico la sua presenza può non essere diagnosticata con delle indagini di routine.
Il rischio che l’infezione “acuta”, quindi recente, diventi “cronica” (quindi con una durata superiore ai 6 mesi) si attesta intorno al 75% ed è influenzato da un particolare polimorfismo genetico codificante per una proteina del sistema immunitario definita IL28B.
È importante ricordare che l’HCV non è un singolo virus, ma se ne distinguono 6 “varianti” principali, definite “genotipi”, all’interno delle quali si identificano dei “sottotipi”, ed all’interno dello stesso individuo possono coesistere più genotipi con più sottotipi, e la popolazione di virus presenti sviluppa delle piccole varianti al suo interno definite “quasispecie”.
Questo serve per comprendere che la grande varietà all’interno dell’HCV è elemento di difficoltà nello sviluppo di un vaccino efficace, ad oggi non ancora esistente né in fase avanzata di sperimentazione, e nello sviluppo di terapie capaci di eradicare l’infezione.
A differenza dell’HBV, per l’HCV non esiste una terapia di “controllo” dell’infezione.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un cambio epocale nello scenario dei trattamenti, passando da regimi di trattamento basati sull’uso di farmaci non specifici e gravati da importanti effetti collaterali e lunghe durate di trattamento con un tasso di successo in media del 50% ad oggi in cui esistono terapie in grado di eliminare l’infezione in più del 95% dei casi.
Queste nuove terapie utilizzano antivirali “diretti” e la durata del trattamento è di 12-24 settimane.
Va ricordato che il virus HCV non è “citopatico diretto”, quindi la “quantità” di virus (dosabile nel sangue) non correla con il danno epatico: tanto virus può fare poco danno, e viceversa.
Epatite E
L’infezione da virus dell’epatite E (HEV) decorre in maniera simile all’epatite A, ovvero ha decorso acuto ed autolimitante nella maggioranza dei casi.
A differenza dell’HAV però sono descritti casi sporadici di “cronicizzazione” dell’infezione, perlopiù in soggetti immunocompromessi.
Non esiste terapia specifica per l’HEV né vaccino efficace; data la trasmissione orofecale le norme igieniche sono la migliore forma di prevenzione.
Lo schema preferito
La valutazione dell’epatite virale, la sua definizione eziologica e la sua “stadiazione” (ovvero la “quantità” di danno epatico) non possono prescindere da una valutazione epatologica specialistica, che valuterà anche la necessità ed eventuale eleggibilità al trattamento antivirale.
In questo contesto un supporto di tipo medico-nutrizionale volto a migliorare il quadro infiammatorio generale si pone come alleato nel controllo ed eliminazione dell’infezione, come nell’eliminazione di eventuali altre cause di danno epatico quali la steatosi (ovvero il deposito di “grasso” all’interno del fegato). Questo atteggiamento viene seguito presso il centro medico SMA di Milano.
Nella valutazione del quadro può rendersi necessaria l’esecuzione di prelievi ematici volti a definire la natura dell’infezione, oltre che l’esecuzione di esami di immagine e di diagnostica (invasiva e non) al fine di valutare l’epatopatia.
Può trovare indicazione, nel miglioramento del quadro infiammatorio generale e non nel trattamento dell’infezione, l’uso di antinfiammatori naturali quali gli oli di perilla o gli estratti di curcuma, da valutare caso per caso.
Allo stesso modo può trovare indicazione la valutazione di specifiche citochine infiammatorie quali BAFF e PAF e la valutazione delle IgG al fine di identificare eventuali reattività ai grandi gruppi alimentari.
Link utili
- AISF – Associazione Italiana per lo Studio del Fegato, dove si possono trovare le linee guida aggiornate per il trattamento delle epatiti virali.
- EASL – European Association for the Study of the Liver (in inglese), dove si possono trovare le linee guida dell’associazione europea circa il trattamento delle epatiti virali.
Aggiornamento 08/03/17: Pubblicati i nuovi criteri di trattamento per la terapia dell’epatite cronica C sul sito AIFA