Celiachia
La celiachia, o malattia celiaca, è una patologia gastrointestinale causa del malassorbimento di numerosi nutrienti. La sua incidenza è nettamente aumentata negli ultimi 50 anni, e ad oggi si stima interessare circa 1 persona ogni 113.
La celiachia è definita dagli esperti una malattia ad “iceberg” in cui solo una frazione degli individui affetti manifesta i sintomi “classici” del malassorbimento, che possono insorgere dai primi anni di vita fino agli 80 anni circa, mentre una parte molto più ampia delle persone manifesta sintomi atipici che non sono immediatamente riconducibili ad un malassorbimento intestinale.
Un’altra frazione di celiaci, che si stima essere ancora maggiore, non manifesta alcun sintomo sebbene le biopsie intestinali mostrino i segni tipici di questa malattia.
La celiachia si distingue dalla NCGS (Non-Celiac Gluten Sensitivity, sensibilità al glutine non celiaca) in quanto quest’ultima è caratterizzata da sintomi intestinali, e non, correlati con l’ingestione di glutine in soggetti senza positività per i markers della celiachia e con una mucosa intestinale normale.
I sintomi “classici” del malassorbimento sono diarrea, steatorrea (presenza di grassi non digeriti nelle feci), dolore addominale, perdita di peso.
Le conseguenze del mancato assorbimento dei nutrienti sono la stanchezza, l’anemizzazione (quindi la riduzione dei globuli rossi e dell’emoglobina nel sangue) e la deplezione delle scorte minerali ossee che porta all’osteopenia prima ed infine all’osteoporosi.
La celiachia però può anche manifestarsi senza sintomi gastrointestinali, ma con quelli dati dalla perdita di un singolo elemento, in genere ferro, folati o proteine.
Il mancato assorbimento causato dalla malattia celiaca può manifestarsi anche in altre situazioni quali la difficoltà di concepimento o la comparsa di una neuropatia periferica (sotto forma, ad esempio, di crampi, formicolii o difficoltà di movimento).
Il segno chiave della malattia celiaca è dato dalla presenza di una biopsia intestinale con degenerazione e “appiattimento” dei villi.
Questo avviene a partire dal duodeno (la prima parte di intestino che origina dallo stomaco) e poi prosegue lungo il resto dell’intestino, probabilmente in relazione alla quantità di glutine a cui i villi che compongono la mucosa sono stati esposti.
Bisogna sottolineare però come la severità dei sintomi non è correlata con il grado di degenerazione di questi osservato alla biopsia: possono esserci pazienti con molti sintomi, ma una biopsia quasi normale, o viceversa.
I sintomi possono comparire con l’introduzione dei cereali nella dieta di un infante, e in questo caso generalmente tendono a scomparire nell’adolescenza per poi non ripresentarsi o ritornare a distanza di decenni, oppure possono presentarsi in qualsiasi momento della vita.
In molti pazienti il decorso della patologia vede l’alternarsi di momenti di remissione dei sintomi a momenti in cui questi si fanno più evidenti.
Le cause di insorgenza della celiachia ad oggi non sono note, ma sicuramente sono correlate a fattori di tipo immunologico e nutrizionale, combinate probabilmente ad una suscettibilità genetica.
Un fattore definito “ambientale” è l’esposizione della mucosa intestinale alla gliadina, che è una proteina componente il glutine e ormai ubiquitaria nella nostra alimentazione, dato che è contenuta nelle farine di frumento, orzo, segale, farro ed altri cereali.
L’incremento dell’incidenza della malattia celiaca osservato negli ultimi 50 anni porta a pensare che le profonde modificazioni delle abitudini alimentari con un consumo sempre maggiore di carboidrati raffinati, zuccheri e grassi svolga un ruolo chiave nella sua insorgenza.
Un fattore immunologico è dato dalla presenza di anticorpi specifici, dosabili nel sangue tramite un comune prelievo, appartenenti alla classe delle immunoglobuline A: anti-Gliadina, anti-Endomisio ed i più utilizzati anti-Transglutaminasi.
È importante notare però che la presenza di questi anticorpi non è stata correlata ad un meccanismo di danno tissutale, quindi la loro presenza non è, da sola, indice della malattia ma solo di una sua possibile presenza, da confermare tramite biopsia duodenale.
Tra i fattori determinanti la malattia via è anche da considerare una predisposizione genetica, infatti l’incidenza di questa è influenzata dall’etnia (è maggiore nei bianchi e minore invece in africani, afroamericani ed asiatici) ed è del 10% nei parenti di un celiaco.
Esistono dei marcatori genetici necessari perché la malattia celiaca si manifesti e sono la presenza delle varianti HLA-DQ2 e/o HLA-DQ8, sebbene solo una minoranza delle persone con questa variazione sviluppi poi effettivamente la malattia.
La diagnosi della malattia celiaca si basa quindi sulla biopsia intestinale ottenuta in un soggetto con evidenza di segni o sintomi di malassorbimento e un test anticorpale positivo. La biopsia va eseguita prima che venga eliminato il glutine dalla dieta.
La certezza della diagnosi si ha quando ad una biopsia compatibile con la malattia celiaca si associa una risposta alla restrizione dietetica degli alimenti contenenti glutine.
Il trattamento della celiachia si fonda sulla restrizione dietetica degli alimenti contenenti glutine.
Va ricordato che anche gli alimenti “gluten free” contengono una piccolissima quantità di glutine (inferiore a 20 parti per milione).
In casi particolarmente gravi può rendersi necessaria l’aggiunta di una terapia immunosoppressiva al fine di indurre la remissione dei sintomi e la regressione delle modificazioni alla mucosa intestinale.
Il monitoraggio del trattamento avviene tramite il controllo del titolo degli anticorpi specifici, che in caso di buon controllo deve ridursi progressivamente; segno questo dell’interruzione della loro produzione stimolata dall’irritazione della mucosa.
Lo schema preferito
La valutazione ed il trattamento di un paziente celiaco devono avvenire alla luce della certezza della diagnosi e della sua differenziazione da altre forme di malassorbimento o di NCGS (sensibilità al glutine non celiaca).
Una volta appurata la presenza di malattia celiaca è importante una valutazione dello stato infiammatorio generale e della presenza di eventuali altre reattività ai grandi gruppi alimentari.
Il rischio infatti è quello di avere una dieta poco varia e quindi di sviluppare reattività anche molto importanti ad altri alimenti usati come sostituti del glutine, in particolare riso e soia. Mantenere un’alimentazione varia e che rispetti le giuste proporzioni di carboidrati, proteine e fibre alimentari è di estrema importanza.
L’attività fisica contribuisce ad una riduzione dell’infiammazione. Il controllo di questa in pazienti celiaci è essenziale: ha infatti il duplice vantaggio di impedire l’instaurarsi di reattività alimentari e di migliorare il controllo della malattia.
Una nota di riguardo va ai prodotti preconfezionati certificati “gluten free” che molto spesso sono invece ricchi in grassi trans ed oli cotti, particolarmente dannosi dal punto di vista dell’infiammazione (oltre che del rischio cardiovascolare).
Questo schema viene usato con successo presso il centro SMA di Milano.
Nella valutazione di un paziente celiaco possono rendersi necessari esami ematici o delle feci volti ad escludere eventuali altri malassorbimenti, oltre ai test genetici e bioptici per la conferma della patologia.
Può evidenziarsi la necessità di trattamenti specifici dei deficit vitaminici e/o minerali causati dal mancato assorbimenti di questi dal cibo.
Può inoltre trovare indicazione l’utilizzo di antinfiammatori naturali quali l’olio di Perilla o l’estratto di curcuma, la supplementazione di micronutrienti e l’utilizzo di integratori per facilitare la digestione.