Correre prima di colazione per bruciare più grassi: mito o realtà?
Non importa quanto presto ci si alzi, o che ci sia neve, nebbia o un freddo siberiano. Al parco troverete sicuramente un runner intento a compiere la sua rituale corsa mattutina.
Tra i motivi per cui si effettua un allenamento cardiovascolare si sente spesso parlare del fatto che il cardio “a digiuno” (o “fasted cardio”, per chiamarlo all’inglese) consente di bruciare più grassi rispetto a quando viene eseguito dopo un pasto.
Le radici di questa teoria risalgono alla fine degli anni ’90 quando furono espresse nei libri di fitness di diversi autori di primissimo piano.
“L’allenamento cardiovascolare svolto a stomaco vuoto come prima cosa della giornata massimizza la perdita di grasso”. Questo dogma si fonda sul ragionamento che un digiuno prolungato come quello della notte porta il nostro organismo ad attingere alle scorte di glicogeno (la forma in cui si “immagazzinano” gli zuccheri) e alle scorte di grasso per produrre energia.
Svolgere un allenamento in questo stato quindi farebbe sì che l’energia necessaria venga presa sempre più dalle scorte di grasso dato il progressivo esaurimento del glicogeno causato dal digiuno notturno.
In aggiunta a tutto questo il digiuno consente l’azione del glucagone, che promuove il catabolismo (quindi la demolizione) della massa grassa. Logico, no?
Grazie alla sua semplicità di comprensione e l’enorme numero di seguaci, illustri e non, questa pratica si è diffusa e radicata nel mondo del fitness, ed il 2016 ha visto la rinascita del “fasted cardio” come ultima frontiera della perdita di grasso.
Ma la scienza cosa dice in merito?
Innanzitutto è importante ricordare che il metabolismo è uno strumento dinamico, e quindi è estremamente difficile riuscire ad ingannarlo facendogli bruciare selettivamente solo una fonte di energia.
A riprova di questo vi sono numerosi studi che hanno dimostrato come sia necessario un bilancio di ossidazione dei grassi di almeno di 24 ore per capire se si sono davvero intaccate le riserve.
Quello che si è osservato, con ogni tipo di esercizio, è che se per svolgerlo si è attinto preferenzialmente alle scorte di uno specifico tipo, nelle ore successive incrementa il metabolismo delle altre in modo da portare il bilancio complessivo in pareggio.
In parole povere bruciare più riserve di carboidrati durante l’allenamento fa bruciare più grassi nel periodo post-allenamento, e viceversa.
Per valutare l’efficacia di un esercizio nel bruciare grassi il metro più efficace è quello di valutare l’EPOC (Excess Postexercise Oxygen Consumption, traducibile come consumo di ossigeno in eccesso nel post-esercizio), che risulta essere maggiore quando l’allenamento viene compiuto in uno stato non di digiuno.
Come se questo non bastasse bisogna considerare che l’allenamento a digiuno favorisce il catabolismo muscolare, in quanto una volta esaurito il glicogeno l’utilizzo di energia a partire dai grassi non è sufficientemente veloce per consentire di mantenere lo sforzo a lungo e quindi la fonte di energia preferenziale diventano le proteine ricavate dalla demolizione della massa magra (più che il grasso).
In conclusione l’allenamento cardiovascolare a digiuno non solo non ha basi scientifiche circa la sua efficacia, ma rischia anche di andare ad intaccare la tanto sudata massa magra.
Un metodo di comprovata efficacia per massimizzare il consumo (sia durante che in termini di EPOC) è l’HIIT, di cui abbiamo già parlato, da svolgere rigorosamente dopo aver ripristinato le scorte di glicogeno (senza una eccessiva distanza dall’ultimo pasto).
Se però la corsa mattutina risulta l’unica soluzione in una giornata piena di impegni e l’alternativa è non allenarsi, allora può avere un razionale l’assunzione di BCAA (amminoacidi ramificati) al fine di fornire una fonte energetica alternativa al catabolismo muscolare senza interrompere il digiuno e mantenendo la massa magra funzionale e al suo posto
Bibliografia essenziale